Identità digitale e identità reale: qual è il confine?
L’introduzione dell’obbligo di SPID per accedere a contenuti per adulti ha acceso un dibattito che va ben oltre la semplice questione tecnica: quanto è corretto legare la nostra identità reale alle attività svolte online? La domanda non è banale. Riguarda la nostra libertà, la nostra privacy e il modo in cui ci muoviamo nell’ecosistema digitale.
Identità reale: chi siamo nel mondo fisico
L’identità reale è ciò che lo Stato riconosce in modo formale e univoco:
- nome e cognome
- data di nascita
- codice fiscale
- documenti ufficiali come carta d’identità e passaporto
È l’unica identità che non possiamo cambiare: rappresenta la nostra persona agli occhi della legge. È precisa, verificabile, incontestabile. Questa identità nasce e rimane nel mondo fisico, dove i meccanismi di controllo sono consolidati da decenni. Ma online la situazione cambia, e molto.
Identità digitale la nostra chiave d’accesso al mondo online
L’identità digitale non racconta chi siamo, ma serve a dimostrare che siamo chi dichiariamo di essere. Strumenti come SPID o CIE non hanno lo scopo di descrivere la nostra personalità o i nostri comportamenti, ma di certificare in modo sicuro che siamo autorizzati a usare un servizio. In altre parole, l’identità digitale è una chiave, non una biografia.
Tuttavia, quando questa chiave viene utilizzata per accedere a contenuti sensibili o per svolgere attività che riguardano la sfera privata della persona, il rischio è evidente:
si passa dal semplice “autenticare” al potenzialmente “monitorare”.
Ed è qui che nasce il problema.
Quando l’identità digitale diventa troppo vicina all’identità reale
Richiedere SPID per l’accesso a un sito per adulti solleva questioni delicate:
- Serve realmente sapere chi sono?
Se l’obiettivo è verificare l’età, l’identità completa è un’informazione eccessiva.
- Che fine fanno quei dati?
Anche se (in teoria) nessuno dovrebbe registrarli, il solo rischio di correlazione tra identità e comportamenti online genera diffidenza.
- Chi controlla? E chi garantisce?
Nel digitale, ciò che è tecnicamente possibile tende a diventare potenzialmente manipolabile.
con IAM, MFA, e monitoraggio comportamentale per garantire un controllo costante e dinamico.
Il rischio più grande non è una violazione tecnica, ma una violazione culturale: normalizzare l’idea che la nostra identità reale debba accompagnarci in ogni angolo della nostra vita digitale.
Il vero confine: la quantità d’informazioni che condividiamo
Il confine tra identità reale e identità digitale non è tecnologico, ma quantitativo:
quanto di noi stessi riveliamo?
La regola è semplice:
- Se il sistema verifica solo ciò che serve (ad esempio, che siamo maggiorenni), la privacy è tutelata.
- Se invece registra chi siamo e cosa facciamo, si entra nel territorio della sorveglianza, anche se involontaria.
Oggi la tecnologia permette molto di più del necessario.
E proprio per questo servono limiti chiari, leggi adeguate e scelte consapevoli.
Le soluzioni del futuro: selective disclosure e zero knowledge proof
Fortunatamente, la tecnologia sta già offrendo alternative più rispettose della privacy.
Selective disclosure
Permette di condividere solo l’informazione minima indispensabile.
Esempio: dimostrare di essere maggiorenne senza rivelare nome, cognome o data di nascita.
Zero-Knowledge proof (ZKP)
Permette di condividere solo l’informazione minima indispensabile.
Esempio: dimostrare di essere maggiorenne senza rivelare nome, cognome o data di nascita.
Una tecnologia ancora più avanzata che consente di “provare qualcosa senza rivelare nulla”.
Un po’ come dimostrare di conoscere una password senza doverla dire a nessuno.
Sono soluzioni che proteggono le persone prima ancora dei sistemi.
Ed è questo il vero futuro della sicurezza digitale.
Cybersecurity: non solo protezione dai criminali, ma difesa dei diritti
La cybersecurity moderna non può limitarsi a firewall, crittografia e patch.
Oggi deve difendere un principio ancora più fondamentale:
il diritto a controllare la propria identità digitale.
- Sapere chi siamo online
- Decidere quando mostrarlo
- Stabilire quanto rivelare
- Garantire che nessuno possa associare la nostra identità reale ai nostri comportamenti privati
La forza della nostra identità digitale non sta nei documenti, ma nella libertà di usarli solo quando serve. Ed è qui che si gioca la nuova sfida della sicurezza: proteggere non solo i dati, ma la nostra autonomia.
Conclusione
Il confine tra identità reale e identità digitale non è destinato a scomparire: va difeso.
Una democrazia digitale matura non chiede chi sei ogni volta che ti muovi online, ma solo ciò che serve per proteggerti e proteggere gli altri.
La tecnologia può essere invasiva o può essere liberatoria: dipende da come la progettiamo e da quanto siamo consapevoli del risvolto etico delle nostre scelte. L’identità digitale non deve diventare una copia incollata della nostra vita reale. Deve essere uno strumento: sicuro, selettivo, rispettoso. E dobbiamo essere noi non gli algoritmi a tracciare il confine.